Le opere di Giorgio Andreotta Calò spaziano da installazioni ambientali di larga scala a impercettibili interventi architettonici che trasformano frammenti di edifici o interi paesaggi attraverso l’ uso di forze naturali e agenti atmosferici, in particolare acqua e fuoco, elementi carichi di simbolismi arcaici e primari. Uno dei temi che contraddistinguono tutta la pratica artistica di Andreotta Calò è la ricerca sul paesaggio lagunare di Venezia, sua città natale. L’ acqua, nelle sue molteplici forme e funzioni, è un elemento ricorrente nel vocabolario dell’ artista: concepita sia come sostanza generativa sia come forza distruttiva, nelle sue installazioni l’ acqua è spesso utilizzata come materiale riflettente, opaco e viscoso, oppure appare solida e oscura, una sostanza dalle proprietà misteriose e mutevoli.
Il progetto di Andreotta Calò per il Padiglione Italia, Senza titolo (La fine del mondo), consiste in una grande installazione che divide il monumentale spazio dell’ ambiente architettonico in due livelli, creando due mondi separati, complementari e opposti. Il visitatore accede all’ opera dal livello inferiore, costituito da una foresta di tubi da ponteggio che sorregge una piattaforma di legno e che ricorda l’ architettura di una chiesa a cinque navate; ad alcuni pali sono aggrappate una serie di sculture in bronzo bianco raffiguranti grandi conchiglie (Pinna nobilis), che evocano un mondo marino, oscuro e profondo.
Alla fine dello spazio inferiore una scalinata conduce i visitatori al livello superiore, dove una vastissima distesa d’ acqua si estende in corrispondenza di tutto lo spazio sotto cui si è appena passati. Il soffitto del padiglione si riflette e si ribalta nell’ acqua, generando una visione vertiginosa e straniante, di cui lo spettatore entra a far parte riflettendosi a sua volta in un grande specchio posto all’ estremità dello spazio. La superficie d’ acqua amplifica illusoriamente le dimensioni e i volumi del padiglione, ribaltandone l’ architettura e generando un effetto simile a quello di un miraggio: un’ immagine che è al contempo cristallina, vivida e volatile.
Lo sdoppiamento dello spazio riflesso nonché la configurazione dell’ installazione in due livelli suggeriscono una riflessione sulla simbologia del doppio, che è un tema ricorrente in altre opere dell’ artista, ma questi concetti si riallacciano anche ad alcune atmosfere esplorate da
Ernesto de Martino in La fine del mondo, libro nel quale Andreotta Calò ha ritrovato molte corrispondenze con il proprio lavoro. In La fine del mondo l’ antropologo descrive l’ antico mito romano del mundus Cereris, secondo il quale nei pressi di Roma si trovava una fossa che fungeva da soglia tra due mondi, quello inferiore connesso agli inferi e quello superiore connesso alla realtà terrena e alla volta celeste. Tre volte l’ anno, in un rito cerimoniale chiamato mundus patet, la fossa si apriva e si mettevano in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti.
Venezia, 1979. Vive e lavora tra Venezia e Amsterdam.
Nel 2011 il suo lavoro è stato presentato a «ILLUMInazioni / ILLUMInations», 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, diretta da Bice Curiger. Tra le sue mostre personali più recenti «5122.65», Depart Foundation, Los Angeles, 2016; «La scultura lingua morta», Sprovieri, Londra, 2015; «Le promesse dell’arte», Institut culturel italien, Parigi, 2014.
Ha partecipato a diverse mostre collettive, tra cui «Altri tempi, altri miti», 16a Quadriennale d’arte, Roma, 2016; «Wanderlust», a cura di Cecilia Alemani, High Line Art, New York, 2016; «Ennesima», a cura di Vincenzo de Bellis, Triennale di Milano, 2015.
Nel 2014 ha vinto il Premio New York. Nel 2012 ha vinto il Premio Italia arte contemporanea, promosso dal MAXXI di Roma.